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THE HURT LOCKER Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 21 marzo 2010
 
di Kathryn Bigelow, con Jeremy Renner, Anthony Mackie, Guy Pearce, Ralph Fiennes (Stati Uniti, 2008)
 
Film straordinario. Non fosse che per la recente, incredibile incetta di Oscar: prima volta di una donna, prima volta per migliaia di elettori nel privilegiare la modestia di quindici milioni contro i trecento del Golia AVATAR, primo vero film americano dall'Irak.

Ci voleva una donna per girare un film che non fosse più di guerra, ma sulla guerra; meglio ancora, “dalla” guerra. Kathryn Bigelow, cineasta di grande talento quanto poco presente, dopo il notevole ma ormai lontano successo di POINT BREAK e prima dell'ultimo, deludente K-19 del 2002, qualcosa in merito alle proprie preoccupazioni già aveva lasciato filtrare. STRANGE DAYS (1995) concerneva infatti un altro mondo, la storia di un venditore di sogni, di dischetti cibernetici che permettono di vivere in cuffia delle immagini virtuali; ma, in effetti, già una riflessione sulla manipolazione delle immagini nelle quali affoghiamo, sui limiti talvolta crudeli che esistono fra la realtà e la sua rappresentazione.

Qui, nelle gesta dello sminatore professionista che è alla testa di un gruppo di artificieri americani in Iraq, che da volontario ha scelto la sfida alla paura ed alla morte fino all'assuefazione ed alla dipendenza, è proprio e ancora di rappresentazione che si tratta. Di come la scelta di un modo particolare di forgiare la rappresentazione, il genere di scrittura, la qualità di uno sguardo, finisca per rivelarci, o perlomeno avvicinarci, a una verità diversa. Quella vera, perché più intima, più radicata nelle conseguenze che avrà nel tempo, nel destino presente e futuro dell'individuo.

La rappresentazione di THE HURT LOCKER è azione pura, resa il più possibilmente realista, incredibilmente immediata, dell'istante presente. Mai, come nel film, lo spettatore si è sentito immesso all'interno di quell'involucro protettivo (?), quello scafandro più dello spirito che della materia sempre più micidiale. Partecipe degli umori, fisici e non, dell'artificiere che in un perimetro isolato, “sicurizzato” nel centro di Bagdad sta marciando risolutamente, con una determinazione che non sappiamo se incosciente o terribilmente razionale verso l'oggetto di morte. Da quella partecipazione cinetica ed emotiva con il proposito del film, resa con una efficacia straordinaria, lo spettatore non ne esce soltanto con una banale sensazione di suspense, ma con una vertigine dell'assurdo che traduce alla perfezione la tragedia dello sfogo quasi giubilatorio e voluttuoso provocato da tutte le guerre che l'uomo continua ad inventarsi.

L'irrealtà dello spirito, la follia della morale ottenuta grazie alla resa esclusiva di una realtà materiale. La qualità dello sguardo di Kathryn Bigelow è per molti versi inedita; non il processo evolutivo del genere cinematografico, che è in atto da tempo. I film “di guerra” non sono più quelli di John Wayne e Sam Fuller, del realismo metafisico di PLATOON o dello spettacolo mortifero di APOCALYPSE NOW, nemmeno dello sdegno culturale e aristocratico del Kubrick di PATHS OF GLORY o di FULL METAL JACKET, semmai della fisicità di Robert Aldrich. Ora la guerra, nel capolavoro assoluto di Terrence Malick LA SOTTILE LINEA ROSSA, è vista come l'atto contro natura che ha privato progressivamente l'uomo del paradiso su terra. Oppure, come nel recente e inedito da noi REDACTED di Brian de Palma, attraverso la medesima manipolazione dell'informazione che subiamo giornalmente: la finzione con gli attori che recitano mixata agli spezzoni dei telegiornali, la home movie delle immagini apparentemente sacrosante di Internet, le constatazioni più o meno oggettive delle videocamere di sorveglianza: il falso per riprodurre il vero.

In THE HURT LOCKER è il vero a riprodurre il vero. Scomparsa una progressione drammatica, l'evoluzione di una situazione, il suggerimento psicologico. Evacuata, almeno in apparenza, la crisi di coscienza. Tutto il significato del messaggio è lasciato all'azione; e alla sensualità più meno perversa della sua percezione. Al vuoto, terribile, che si nasconde dietro l'efficacia altrettanto tremenda della sua rappresentazione. Non un giudizio, di conseguenza, sull'Iraq e tutto quanto concerne l'intervento che sappiamo; non sulla politica nel Medio Oriente o sulla filosofia guerriera. Solo la constatazione degli effetti di una droga, la più perversa nella storia dell'umanità. Può anche essere risentito come un limite di un film originale e acuto, forse incompleto. In ogni caso ambiguo, proprio come il suo soggetto.


   Il film in Internet (Google)

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